il garofano rosso e l'A B C dei sentimenti

 

(Maria Angela Menghini)

 

Le prove INVALSI vengono “proposte” dal ministero a reti unificate e procedure blindate: pronti attenti via tutti alla stessa ora, guai se i docenti che fanno assistenza sono quelli di classe e meglio invertire assistenti (nome in gergo ministeriale “somministratori”). Prof di matematica sono previsti durante le prove di italiano e viceversa come se nel corso dell'anno “somministrassero” prove di verifica farsa in cui suggeriscono le risposte dei lavori che poi andranno a correggere anziché prove in stretta relazione con quanto si fa effettivamente in classe (è davvero ben strana l'idea che dal ministero spacciano della professionalità docente e mi sembra più strano che la si accetti senza reazioni). Quel che è peggio è il fatto che la scuola e i docenti vengono implicitamente bacchettati come se il lavoro che ogni giorno svolgono fosse meno serio delle prove presunte oggettive. Si ricorda che, a correzioni fatte, il ministero ammette che i correttori erano sbagliati. Invia rettifica cui segue nel giro di qualche ora, la rettifica della rettifica, alla faccia della serietà (ai ragazzi se sbagliano mettiamo impietosamente 4, c'è qualcuno che paga per questi errori e per lo spreco del denaro degli italiani ?). Si ricorda anche che le prove, come già da altri notato, violano gravemente la riservatezza dei dati personali degli individui dato che a ogni numero di candidato sono abbinate tutte le informazioni che lo riguardano, compresi grado di istruzione e occupazione dei genitori (tutti dati che alla faccia della legge sulla privacy, le segreterie, tramite un censimento classe per classe, hanno dovuto fornire durante l'anno in forma per niente anonima).

 

Ma torniamo agli studenti sottoposti al test di tanta pretesa serietà e oggettività. Le prove risultano in alcune circostanze troppo difficili, in altre molto semplici, o meglio semplicistiche e contraddittorie nei confronti del messaggio che trasmettono circa il valore e il nucleo fondante delle discipline che insegniamo. Il primo dei quesiti di matematica era più un test ottico sulla capacità di ribaltare un'immagine di 180°, mentre uno era un quesito di geografia relativo alla lettura delle isoipse e si trattava di dire quale versante, nella rappresentazione di un rilievo, è più ripido e quindi la distanza tra una curva e l'altra più breve in linea d'aria.

Non insegniamo matematica solo perché un giorno i nostri alunni saranno capaci di discernere se conviene di più accettare un lavoro piuttosto che un altro in funzione degli aumenti annui programmati da due differenti aziende (era un altro dei quesiti assegnati).  O perlomeno ci sono ragioni più sottili (sia per studiare matematica che per scegliere un lavoro a dire il vero). Per la matematica queste ragioni hanno a che fare con la capacità di astrazione e con ragioni che non si sovrappongono del tutto all'abilità di risolvere un quesito che potremmo chiamare di logica, fermo restando che poi anche di insegnare la logica, e non una sua volgarizzazione, ci sarebbe bisogno eccome. La scelta di un lavoro sarebbe auspicabile affrontarla (se daremo ancora l'opportunità ai giovani di fare scelte di lavoro) considerando variabili umane come la qualità della vita, la vicinanza alla propria residenza, le spese di viaggio, l'etica di un'azienda rispetto a quella di un'altra, la soddisfazione personale e la gratificazione nel fare l'uno o l'altro lavoro, oltre a fattori che implicano creatività e progettualità personale e che incidono oltre al calcolo degli aumenti.

 

Analogamente non leggiamo pagine di letteratura solo per saper individuare se il protagonista smette di essere un bambino quando si verifica A, B o C o per dimostrare che sappiamo che il sinonimo di “per converso” è “al contrario”. Ma il punto non è solo questo. Quest'anno (da intendersi “esame di stato di conclusione del ciclo di istruzione di primo grado anno scolastico 2010-2011”, dio ci aiuti è questa la formula che abbiamo fatto scrivere agli alunni in calce ai compiti), quest'anno, si diceva, le prove erano facili, in più per l'italiano sia il testo sulla pubblicità (il secondo) che quello letterario erano molto belli

La pagina dal Garofano rosso di Elio Vittorini meritava di essere letta quand'anche sul limitare dell'ultima prova di scuola media. Peccato che le domande poste agli studenti erano assolutamente banali, indegne di essere le uniche domanda da porsi su un testo del genere ridotto all'oggettività del chi, come, dove, quando, e magari ogni tanto anche perché. Come si fa a chiedere e soprattutto come si fa a rispondere con certezza oggettiva alla domanda se il fatto che il protagonista diciassettenne del brano si sia innamorato in una calda estate sta a sottolineare A) che i ragazzi al bar si annoiavano, B) che il sentimento provato è una passione, C) che il ruolo descrittivo del caldo amplifica l'effetto della narrazione dell'innamoramento. Cito a braccio, ma era questa la sostanza della domanda e relative opzioni di risposta, una delle perle che però, a onor del vero, impazzano anche nelle antologie scolastiche specialmente per i testi letterari.

E proseguendo si trovavano minuziosi punti assegnati o meno per risposte tipo: alta, bruna, bellissima. Bastava saltare un aggettivo e si riscuoteva un punto in meno. Per converso, per totalizzare bonus di comprensione bastava copiare pedissequamente dal testo una serie di parole di una descrizione, per esempio: cappellino, tacchi e così via (non importa se nello stesso identico ordine del testo, bontà del manuale per le correzioni).

 

Ciò che sfugge è la poesia, la bella scrittura, la magia di una pagina che descrive la fine dell'infanzia e lo scalpito interiore del fanciullo che convive insieme all'adolescente senza soluzione di continuità e in una percezione del tempo come sovvertita. Nessuno spazio è lasciato agli studenti per il piacere della lettura, l'incalzare delle domande sembra volerli addirittura distogliere da una riflessione personale, impegnandoli a dover rispondere a che lavoro fa il padre della ragazza.

 

Vorrei dedicare Il garofano rosso e tanti altri libri a tutti gli studenti, a onta di tutti gli esercizi stupidi delle antologie. Auguro loro di non lasciarsi portare via quella realtà che in così breve pagina è rappresentata in maniera tanto plastica e viva e che è tutta dell'età loro: la forza e la sorpresa di sentimenti e di stati d'animo nuovi che possono irrompere e interrompere la noia al bar sia in estate che in inverno e persino nelle mezze stagioni. Auguro di saper dire qualcosa in più dell'A, B, C dei sentimenti, di amare la lettura e anche di ricordare questa grande pagina di letteratura.

Nononostante le prove INVALSI.

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Commenti: 1
  • #1

    Marco Luigetti (mercoledì, 22 giugno 2011 14:29)

    Sono d'accordo con quello che scrivi, con alcune precisazioni.
    Il punto, secondo me, è che gli obiettivi che vengono misurati (attenzione *non* valutati) dalla prova, sono sacrosanti, ma sono solo una piccola parte di quelli che devono ragionevolmente essere perseguiti.
    Per quanto riguarda l'italiano sono d'accordo sul fatto che i sentmenti non si misurano con prove oggettive, ma da questo non si può fuggire. L'unico mezzo è dare fiducia a chi è chiamato a valutare (gli insegnanti), cosa che questa classe politica non è disposta a fare. Eppure non è un segreto che i migliori risultati si ottengono da una persona *solo* dandogli fiducia e lasciando che si assuma le sue responsabilità. Esattamente il contrario di quello che sta facendo il ministero, che sta progettando addirittura di eliminare le prove scritte tradizionali, lasciando solo le prove invalsi.
    Per quanto riguarda la matematica il discorso è analogo. La matematica è una scienza deduttiva e astratta, mentre le prove invalsi hanno carattere induttivo e concreto.
    Questo non vuol dire che sono inutili o del tutto sbagliate. Infatti l'astrazione deve essere raggiunta per gradi e a tredici anni si suppone che un livello completo di astrazione non possa ancora essere ottenuto. Vuol dire semplicemente che non bastano. Sono utili per confrontare alcune competenze in situazioni diverse, ma non possono bastare.
    Sono strutturate in modo da premiare un preciso modello di ragionamento pratico e analitico, volto alla risoluzione *immediata* di problemi *semplici*. Niente pianificazione, niente analisi delle conseguenze, e questo è solo un esempio.
    Inoltre i problemi sono posti in modo non immediato da un punto di vista linguistico, creando di fatto una discriminazione nei confronti dei non madrelingua.
    Mi viene in mente la discussione (di moda qualche anno fa) sulle intelligenze multiple di Gardner. Come verrà misurata la prova di un ragazzo super-intelligente, ma con prevalenza di intelligenza musicale o interpersonale? Mi sembra che queste prove (se usate come strumrnto di valutazione tout court delle competenze matematiche) soffrano dello stesso difetto del Q. I., che alla fine valutava positivamente solo i WASP americani.
    Per finire: si alle prove invalsi, ma solo se se ne definisce appropriatamente e precisamente il contesto e lo scopo.